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2010 luglio 27
di Sophieboop

cileccaguardavo il soffittosto per venireorgasmoorgasmo multiplo definitivo1 voti

Le sigarette slovacche sono in pacchetti da diciannove. Appena ne apri uno, quel buco tra i filtri è buio come un incisivo mancante.

Manca qualcosa, a Bratislava. Un nesso. Un passaggio. Un taglio nel tempo.

Stai con me, non girare la chiave, non aprire il sipario. Restiamo ancora un po’ a dondolarci in questa amnesia.

A Bratislava – all’aeroporto – si arriva nel vecchio e si parte dal nuovo. Prendi i due terminal, e avrai la tua Delorian. Prendi calendari diversi, prova a mischiarne le pagine, e salteranno i giorni e si replicheranno mentre ti chiederai ancora e ancora in che anno stai vivendo. Prendi vestiti con le spalline troppo ampie e i tessuti floreali troppo sintetici, prendi uniformi revival che non si vergognano di mostrarsi nelle vetrine e poi abbinali a pantaloncini e magliette firmate dal capitalismo. Prendi i casinò con le lampadine tonde e le facciate pulite e mettici vicino casermoni severi con pubblicità dipinte a mano, sbiadite in fretta. Tienili vicini, finché puoi, finché non saranno strappati uno alla volta come denti morti da gengive di cemento.

Tienimi, tienimi vicina a te, tieni vicino il nostro respiro. Ascolta il melodramma di questo mercato di lingue.

Il vuoto che lasciano mi assale di sbieco, mi tende tranelli dove pensavo di poter affidare le mani per sorregermi nel caldo. Il mio cappello da turista non basta, non vola. L’aria sembra troppo pensante persino per sollevarsi da terra: va sniffata in polveri sottili dal ciglio dei marciapiedi, da una fonte d’asfalto. E ricorda che la felicità va assunta a piccoli sorsi, che la guerra non è ancora finita.

Non finirmi, non finirmi ancora, lasciami almeno l’illusione dell’eternità, lasciami almeno un ultimo spasmo. Affama il mio gusto della demolizione.

Il sole picchia forte, è un pugile instancabile e impietoso che combatte contro una città senza braccia, senza rami e ombre. Resta serio, impassibile, ostinato nella sua coscienza industriale, anestetizzata dalla fatica. Ci ripariamo sotto balconi che una volta erano antichi, nelle vie strette del centro, restaurate da una chirurgia edile in tinte pastello, che lifta le crepe e le riempie di stucco come tu mi riempi di sperma, perché lì dentro non possa più entrare nessuno, né un topo, né un pensiero.

Vieni, vieni, cerchiamo un vicolo, una stanza, un piccolo ponte, cerchiamo la crepa nel muro, l’edera che molesta la grondaia, l’argento disperso in scatole in cui si ammassano eredità e cianfrusaglie. Vieni, cerchiamo angoli più stretti da cui spiare la città. Vieni, allarga le mie gambe e troverai il belvedere. Troverai la torre del castello da cui ci lanceremo nel fiume, ammirando la notte ubriaca.

Altri pensieri:

  1. luglio 27, 2010

    sono un po’ confuso…non capisco se è la “regia” molto visionaria o se l’immagine che questa volta ci porgi è sfuocata….o forse il tuo è solo un invito a vedere le cose che di solito ci sfuggono o meglio, un invito a cercarle…oppure ti piace bratislava…..oppure….oppure che tutto è già presente ma invisibile ai nostri occhi…oppure…..

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  2. luglio 28, 2010

    … oppure è tutto questo messo insieme, condito da un certo disagio che ieri provavo scrivendo… ogni volta che cerco di spingermi più in fondo, trovo qualcosa di spaventoso, mi fa tornare in fretta su una riva rassicurante…

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  3. stewie permalink
    luglio 28, 2010

    ci ho visto anche un po di montale

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  4. luglio 28, 2010

    Intendi Eugenio?
    So*

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